E’ sorprendente come un formato così vetusto come il disco in vinile abbia ancora molto da rivelare delle sue incredibili potenzialità. Nei suoi solchi ci sono informazioni che aspettano solo di essere portate alla luce, nuance rimaste nascoste per anni e decenni perché l’hardware non è, non era,  in grado di estrarre tutto quello che il tornio incisore ha scritto lì dentro.

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Pensavo a questo quando ho finito di apparecchiare e settare quel monumento all’analogico che è il Vyger Atlantis e ho fatto scendere la testina, una Denon 103, sul solco del primo disco. Un disco che conosco bene, ascoltato tante volte con giradischi al di sopra di ogni sospetto (Verdier Platine, EMT 930/950, Thorens 124, Garrard 301, Forsell Air Reference, Technics SP10…). Già all’attacco delle prime note ho la sensazione che quello che sto ascoltando è qualcosa di diverso, pur con i limiti di una testina di qualità ma non da olimpo della riproduzione.

Intanto due note di presentazione del giradischi. La base è una specie di cattedrale di circa una settantina di chili di alluminio, caratterizzata da 3 grossi elementi portanti che sorreggono il piatto e il suo basamento. Il braccio tangenziale è parte integrante del giradischi.

 

La ricerca del costruttore è volta all’azzeramento delle vibrazioni sia attraverso le masse, sia attraverso l’isolamento totale di piatto e braccio che sono entrambi sospesi su cuscino d’aria. Il disco poi viene reso solidale al piatto attraverso una potente aspirazione.  A corredo vi sono poi l’indispensabile pompa (molto silenziosa e che quindi non necessita di essere posta in un altro locale), il filtro dell’aria e una centralina di smistamento dell’aria.  Non mancano ovviamente tubi e tubicini per convogliare l’aria al giradischi. Devo dire che un simile apparato che inizialmente potrebbe spaventare non rende l’uso del giradischi né complicato né troppo laborioso. Si accende il giradischi per mezzo di una levetta posta sul telaio, tempo meno di un minuto e si raggiunge la pressione di esercizio. Si pone il disco sul piatto, si mette il clamp e si spinge una levetta che attiva l’aspirazione del disco.

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Tempo pochi secondi e non resta che selezionare tramite un’altra levetta la velocità desiderata (33/45). Una manopola consente la regolazione fine della velocità. Tutto questo è più lungo da descrivere che da fare. Si posiziona il braccio che scorre con leggerezza estrema sul canotto e si abbassa l’alzabraccio. Ed è musica.

 

Gli elementi caratterizzanti, e quindi esaltati rispetto ad altri giradischi, nella riproduzione del Vyger sono:

– fluidità e liquidità del suono

– incredibile ampiezza del fronte sonoro ma anche estrema focalizzazione degli strumenti e dei piani sonori

– rocciosità dell’immagine e profondità del basso

– bassissimo livello di distorsione percepita

– naturalezza

– ricchezza di dettagli (alcuni mai prima percepiti) senza però nessuna fastidiosa radiograficità (e non è poco)

L’insieme di tutti questi elementi fanno del Vyger un apparecchio  straordinario, capace di far lavorare al meglio la testina, mettendola nelle condizioni di affondare con sicurezza nel solco per estrarre tante informazione e restituirle senza mai dare, nemmeno con i segnali più complessi e dinamici, la sensazione di indurimento, di sforzo. Tutto avviene con estrema naturalezza, non vi è nessuna esaltazione né dei dettagli, che però ci sono in abbondanza, né di un determinato range di frequenze. Anche le basse frequenze, perentorie e profonde, prive di coda, si fondono al resto del segnale con un equilibrio che è molto vicino a quello della musica non riprodotta.

Le voci e gli strumenti  solisti sono scolpiti nell’aria, tridimensionali e nelle giuste proporzioni (disco permettendo). Gli scarti dinamici sono seguiti senza difficoltà, verrebbe da dire, senza mai strappare.

Spesso si dice di un giradischi che è lento oppure veloce. Il Vyger non è né l’uno né l’altro, è come deve essere, giusto proprio perché le sue numerose qualità vengono porte all’ascoltatore con quel giusto amalgama che fa percepire la musica nel suo corretto fluire.

Credo che valga bene un ascolto, anche da parte dei più scettici e incalliti digitalisti. Il vecchio disco nero non ha ancora finito di stupire ed è grazie a macchine come queste che può farlo.

 

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